Intorno agli anni ’80 negli USA, culla della nascita della bioetica, si è venuto a delineare quel particolare stile della bioetica che si andava modellando sui bisogni delle decisioni quotidiane in medicina: la bioetica clinica. La bioetica clinica nasce dall’ascolto dei protagonisti dell’azione clinica e si sviluppa essenzialmente in un dialogo. Non è una prescrizione di comportamenti, ma essenzialmente un’azione di consulenza, di facilitazione delle decisioni. L’esperto di bioetica clinica non decide al posto del medico ma porta il contributo della sua disciplina affinché le parti in causa, cui spetta di prendere una decisione clinica, possano percorrere consapevolmente le diverse tappe del processo decisionale. Parallelamente, sul piano formativo del medico, fin dagli inizi del XX secolo si è avuta la consapevolezza che la pratica medica, come cura del paziente, richiedesse più che una conoscenza scientifica. Così, attraverso le Medical Humanities (MH) si è cercato di promuovere una visione unitaria dello sviluppo delle conoscenze biomediche e delle abilità professionali, decisionali ed operative dello studente di medicina affinché, accanto alle competenze tecnico-scientifiche, egli acquisisca anche una sensibilità ai problemi umani della persona sofferente, delle capacità umane e comunicative (relazione medico-paziente-famiglia e relazione medico-altri professionisti sanitari) e una responsabilità etico-sociale nell’azione di cura (educazione globale). Con Decreto Rettorale del 13 giugno scorso è stato, pertanto, istituito presso la sede di Roma dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (UCSC) il Centro di ricerca per la Bioetica clinica e le Medical Humanities (CRiBCeMH), con lo scopo principale di promuovere e svolgere attività scientifiche per lo sviluppo della bioetica applicata alla biomedicina con il fine ultimo di migliorare la cura integrale della persona malata e fondare documentatamente il ruolo delle Medical Humanities nella formazione degli operatori sanitari.

(A cura di Giuliana Covelli).