L'articolo  – dono di uno dei medici più competenti e responsabili nel campo della cooperazione internazionale – non è solo uno dei pochissimi resoconti su uno degli aspetti più gravi e meno noti della repressione della popolazione di Gaza: vuole essere un richiamo culturale e metodologico di quanto sia grande l'invisibilità dei diritti negati a tutte le popolazioni che nel mondo vivono permanentemente in uno stato di guerra. La situazione qui descritta per una parte così fragile della popolazione palestinese è il caso più esplicito e tragico in cui la cronaca delle guerre non accetta il ricatto di raccontare di vincitori e vinti, di vittime e distruzioni, ma vuole giocare il ruolo di restituire visibilità, dignità, finestre di futuro alle persone concrete, ai loro bisogni insoddisfatti, alla richiesta di un'attenzione profonda, che è la via maestra per riconoscere e rendere nuovamente possibili i diritti violati. La salute mentale dell'età pediatrica e adolescenziale è un fortissimo indicatore (anche per l'Italia – i report annuali di Save the Children descrivono una situazione preoccupante) di quanto la società e la sanità lascino “orfani” proprio coloro che hanno più difficoltà a resistere- superando l'insicurezza-fragilità-non-autonomia creata da ogni tipo di guerra: la loro richiesta è prima di tutto un'adozione che abbia bisogno di meno medici e medicine, e molto più accompagnamento fatto di tempo, accoglienza e speranza per il futuro. La guerra più diffusa che colpisce oggi la società e la salute è quella che esclude il diritto a una visibilità-riconoscimento personalizzata e duratura. Possa Gaza diventare una scuola permanente di guardare e ascoltare.                                                                                                                (Traduzione a cura di Paola Gentili).