(Trascritto dall’articolo).                                                                                                                                                                                                                                  Viviamo in una società in cui siamo sempre più connessi ma, allo stesso tempo, sempre più disconnessi. Ci disconnettiamo dalle relazioni umane profonde, dall’ascolto, dalla comprensione del mondo interiore di chi ci circonda, ci disconnettiamo dalla compassione verso la sofferenza altrui. Per utilizzare le parole del sociologo tedesco Zigmund Bauman (2008): La comunità resta pervicacemente assente, ci sfugge di mano o continua a disintegrarsi perché siamo sospinti a realizzare il nostro sogno di una vita sicura che nei fatti tale non diviene; da ciò la nostra insicurezza. Ciascuno di noi consuma la propria vita da solo, vivendola come un problema individuale, il risultato di fallimenti personali e un sfida alle doti e capacità individuali. Le domande diventano allora: è possibile sviluppare capacità empatiche in questo tipo di società e di cultura e quali strumenti abbiamo a disposizione per crescere in empatia? Il termine empatia è oggi spesso banalizzato nel concetto: “mettersi nei panni degli altri”, precludendo così una riflessione approfondita in merito a ciò che l’empatia suscita. Passando attraverso il pensiero di autorevoli filosofi partendo da Edith Stein per quanto riguarda il tema del l’empatia a Jack Mezirow e Donald Schon studiosi di processi formativi legati all’apprendimento sino a Jurgen Habermas e alla sua teoria sull’agire comunicativo si cercherà di comprendere come lo sviluppo di abilità riflessive ovvero imparare a riflettere su ciò che si fa, su come si sta facendo e su come si potrebbe migliorare, costituisce la base su cui costruire qualsiasi tipo di abilità; in particolare pone le basi per la costruzione di relazioni dove l’empatia possa costituire l’incontro fra chi cura e chi è curato.